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Scrittura - Lettura

By Alessandro / Leggo, pillole-leggo

2018

Gennaio

10

Antonio Dikele Distefano – Chi sta male non lo dice

Antonio Dikele Distefano – Chi sta male non lo dice

Letto in poco più di due ore. E’ un romanzo (davvero) breve e forse definirlo romanzo è più che altro una trovata commerciale, nel senso che lo vedrei meglio se inserito all’interno di una raccolta di racconti. Al di là della lunghezza, devo dire che mi è piaciuto, nel senso che leggerlo è stata un’esperienza nuova mai provata in precedenza nell’ambito della narrativa.

La verità è che la storia dei due protagonisti Yannick e Ifem, una storia di integrazione razziale e di problemi giovanili, scivola via velocemente senza, a mio avviso, andare troppo in profondità, o perlomeno non in maniera evidente. La verità è che forse non va a fondo con le parole ma la storia penetra profondamente nel mondo dell’immigrazione, della droga, e dei giovani: insomma, senza dare troppo nell’occhio, “Chi sta male non lo dice” penetra nel mondo che ci passa davanti ogni giorno e che spesso non vogliamo sforzarci di vedere.

Disfefano sa scrivere in un modo tutto suo, e sa toccare gli argomenti che decide di raccontare senza soffermarsi troppo sul far riflettere il lettore. Il romanzo è ridotto all’essenziale previsto dalla trama, ma allo stesso tempo è anche pieno zeppo di ciò che ci si aspetta di trovare. Magari nascosto tra le righe, ma comunque presente.

Non nascondo che in certe parti avrei preferito saperne di più, ma questo dipende anche dal fatto che questa lettura è stata preceduta da 4 3 2 1 di Auster dove in ogni pagina si arriva a toccare il nervo della questione senza lasciare nulla all’immaginazione. Qui è diverso, Distefano ci lascia con qualche punto interrogativo, e il risultato non è davvero male.

Probabilmente un romanzo in cui una fascia di età tra i 14 e i 20 anni si riconosce più facilmente, tuttavia la considero una lettura per tutti.

Voto: 7/10

 

Quarta di copertina:

Questa è la storia di Yannick e Ifem, la storia di due ragazzi. Di mancanze, assenze, abbandoni, di come è difficile credere nella vita quando questa ti toglie più di quanto ti dà. Una storia iniziata in un quartiere dove a cadere a pezzi sono le persone prive di impalcature, schiave delle condizioni economiche al punto di attaccarsi al lavoro rinunciando così alla vita. Dove chi non ci riesce beve fino ad annullarsi e alza le mani sui figli e sulle mogli dietro imposte serrate. Dove la gente sa e non fa nulla. Perché addosso tutti hanno l’odore dei poveri e le scarpe consumate di chi è abituato a frenare in bici coi talloni. Una storia di sogni infranti che i figli ereditano dai genitori, partiti dall’Africa per “na Poto”, l’Europa, senza sapere che questo paese non è pronto ai loro tratti del viso né preparato a sostenere le loro ambizioni. Basta avere la pelle un po’ più scura per essere preso di mira, il taglio degli occhi diverso per sentirsi intruso, un cognome con troppe consonanti per sentirsi gli sguardi addosso. In questa desolazione, Ifem prova a colmare il vuoto che la mangia da dentro con l’amore. Quello per Yannick. Un ragazzo che sembra inarrestabile. “Ifem, non ci fermeremo finché non capiranno che non siamo neri che si sentono italiani, ma italiani neri” le ripete continuamente. Ma pian piano quell’amore, come tutto attorno a lei, svanisce. Ne rimane solo un’ombra sottile nelle linee immaginarie che lei traccia sulle labbra di lui mentre dorme. Uno dei pochi momenti in cui Yannick sembra quieto. Perché a fermare la sua corsa è la cocaina. Iniziata per noia, quasi per caso, perché lui è cresciuto in un quartiere popolare dove tutti almeno una volta hanno provato, anche i preti. E perché per un attimo la polvere bianca riempie qualsiasi vuoto – ti fa sentire come avessi dentro tutto il ferro della torre Eiffel -, ma poi si porta via tutto. “Chi sta male non lo dice” non è però solo un pugno nello stomaco, è soprattutto la storia di come i fiori spuntano anche nel cemento. Di come c’è sempre un modo per salvarsi, l’importante è non rinunciare, non smettere mai di amare la vita.


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