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Scrittura - Lettura

By Alessandro / Racconti Brevi

2021

Febbraio

22

EDDIE IL BENZINAIO…

EDDIE IL BENZINAIO…

 

Mi chiamo Eddie, e faccio il benzinaio.
Lavoro a San Diego.
In una vecchia pompa di benzina aperta tutto il giorno.
E quando dico “giorno”, intendo giorno e notte.
Ventiquattrore su ventiquattro.

Io faccio il turno “duro”, quello da mezzanotte alle otto del mattino.
Sono l’ultimo arrivato.
Quello che “si becca” sempre ciò che resta nel piatto.
Le briciole, insomma.

A me comunque piace lavorare di notte.
Tutto si muove molto lentamente, di notte.
La vita si trascina avanti in modo più disinteressato di quanto non faccia alla luce del sole.
Quasi riuscisse a non prendersi troppo sul serio.

Forse è così che dovrebbe essere.
Anche di giorno.
Sempre.

Scrivo canzoni.
Per me e per la mia fidanzata Beth.

Dei ragazzi di Seattle mi hanno inviato una cassetta.
Hanno inciso del materiale.
Suonano bene, i ragazzi.
Mike, Stone, e Jeff.

Jack, un amico che suona in un gruppo di Los Angeles che si fa chiamare “Red hot Chili Peppers” (che strano nome!), dice che dovrei scrivere qualcosa per loro.
Dare una voce alla loro musica.

Credo che lo farò.
Magari una di queste notti.
Quando il tempo finirà per rallentare così tanto da permettermi di trattenere il respiro senza rischiare di affogare.

Qualche settimana fa ho buttato giù un testo che promette bene.
Almeno secondo me.

Comincia così:

“Son, she said
Have I got a little story for you
What you thought was your daddy
Was nothin’ but a

While you were sittin’
Home alone at age thirteen
Your real daddy was dyin’
Sorry you didn’t see him
But I’m glad we talked”

E questo invece, dovrebbe essere il ritornello:

“Oh I, oh, I’m still alive
Hey, hey, I, oh, I’m still alive
Hey I, oh, I’m still alive, yeah oh”

E’ mia madre a parlare in questa canzone, mia madre con me di fronte, quando ero solo un ragazzetto con i primi brufoli in faccia.
Lei e io a parlare di un uomo, uno tutt’altro che speciale, un figlio di puttana.
Mio padre.

Ciò che (non) so di mio padre, del mio vero padre – il tizio che ha lasciato me e mia madre quando avevo solo un anno -, l’ho scoperto dopo la sua morte.
Una di quelle malattie che ti rubano l’anima, che ti fanno tornare bambino.
Una colata di cemento che ti riempie il cervello in grado di spazzare via tutto ciò che vale la pena di ricordare.

Tornerò da mia madre.
A Chicago.
Prenderò il suo cognome.
Assumerò la mia forma definitiva.
Quella che mi porterò appresso per il resto dei miei giorni, fino alla fine.

Eddie Vedder.
Suona bene.

C’è un gran pezzo su quella cassetta registrata dai ragazzi di Los Angeles, i Red Hot Chili Peppers.
Un brano che sembra fatto apposta per il mio testo.
Vorrei chiamarlo “Alive”.

Proprio così.
Perché io sono vivo, ancora vivo.

Un tizio parcheggia una vecchia ford davanti alla pompa di benzina.
Scende dall’auto e mi rivolge un cenno.
Il tempo ritorna a scorrere alla velocità normale.

Mi alzo dalla sedia lasciando che il (mio) costume da Rockstar si nasconda sotto al tavolo.
Lo rivestirò più tardi, quando il tempo rallenterà di nuovo, quando essere ancora vivo tornerà a essere qualcosa di cui andare fiero.

Impugno la pompa del gasolio come fosse un’arma, pronto a uccidere.
Un attimo più tardi i numeri cominciano a girare come quelli di una Slot Machine.

Chiudo gli occhi, sicuro di vincere.

Mi chiamo Eddie.
Faccio il benzinaio.
Ma non lo sono affatto, un benzinaio.

Io scrivo canzoni.
Di notte.

 


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