Sono partito a leggere questo romanzo carico di aspettative. La quarta di copertina non può far altro che incitarti alla lettura (dategli una letta, la trovate qui sotto).
Futuro distopico, Kennedy ancora vivo, questione Vietnam vista da un altro punto di vista… insomma, tutta una serie di ingredienti che si presentano davvero interessanti.
Fatta questa premessa, devo però dire che il libro mi ha parzialmente deluso. Molto originale, su questo non ci sono dubbi: l’idea del romanzo all’interno del romanzo è sicuramente accattivante, tuttavia, non sono riuscito a farmi coinvolgere dalla storia.
Lo svolgersi degli eventi avviene tramite due filoni narrativi ben distinti, che solamente nelle ultime pagine vengono a contatto. Da una parte abbiamo i due reduci, Wendy e Singleton che si trovano all’interno del Corps, questa specie di agenzia governativa nella quale vengono “parcheggiati” reduci del Vietnam che sono stati “trattati” con la cosiddetta cura dell’avvolgimento. Una tecnica che, almeno in teoria, promette di rimuovere dalla testa degli ex-soldati, gli orrori vissuti in guerra. Dall’altra ci sono invece Rake e Meg. Lui un soldato pazzo, che dopo essere stato sottoposto all’avvolgimento si ritrova ancora più violento di quanto non fosse prima, e lei l’ex-fidanzata di un suo commilitone.
Wendy e Singleton alla caccia di Meg e Rake.
A un certo punto della storia, Rake porta Meg da un altro reduce suo amico che vive, insieme alla madre malata di demenza, nascosto in una casa in mezzo al bosco, un certo Hank che, dopo qualche giorno, se ne innamora perdutamente. Da qui scaturisce l’idea di far fuori Rake e di fuggire insieme. Un’idea che non si sa bene se riusciranno a portare e termine, almeno fino alla fine del romanzo, quando i due, giunti alla resa dei conti, vengono raggiunti di Wendy e Singleton.
Il romanzo “che racchiude il romanzo” si apre e si chiude con le testimonianze degli amici, parenti e conoscenti di Eugene Allen, il vero autore di Hystopia, un reduce ventiduenne che, dopo il suicidio della sorella, decide anch’egli di togliersi la vita. Quella che mi ha colpito di più è stata:
“Guardi, il tipo aveva ben più del disturbo di Stiller (o sindrome della tana). Era uno squilibrato . Mi dispiace che si sia suicidato, ma dopo aver cercato di leggere questo libro direi che è stata la soluzione migliore.”
Michiko Kakutani, sul New York Times, pur elogiando questo romanzo, ha parlato di un Infinite Jest riscritto da Charles Kaufman (e non riesco a pensare a qualcosa di più pretenzioso, anche perché Wallace non si può imitare e Kaufman è già un imitatore di qualcos’altro, forse di se stesso)
6/10
Quarta di Copertina: