Nel 2012 casualmente ho preso in mano un “librone” di più di mille pagine che si intitolava “Infinite Jest” scritto da David Foster Wallace. Ci sono quei momenti in cui non sai come, ma ti viene voglia di leggere un bel mattone da mille pagine! Beh, era una domenica mattina ed ero a Cesenatico nella libreria “Librincontro” (che oggi purtroppo non esiste più!) e mi ritrovo tra le mani questo libro e mi concedo un minuto per leggere la quarta di copertina. Figo! La trama sembra interessate, ma chi è David Foster Wallace ?! Ignorante direte voi, hai la pretesa di fare lo scrittore e all’età di trentadue anni (tanti ne avevo nel 2012) non sai chi è DFW ?! No, non lo sapevo. Senza tirarla troppo per le lunghe, viene fuori che DFW è uno dei maggiori scrittori contemporanei di quella corrente che si chiama postmodernismo, e che come suoi maestri considera gente come De Lillo, Pynchon, ecc …
In questi tre anni ho letto praticamente tutto quello che c’era da leggere di De Lillo, Pynchon e Wallace, ma se vai su Wikipedia e ricerchi “letteratura Postmoderna”, uno degli autori di riferimento è Paul Auster. Fino a oggi non avevo mai letto nulla di Auster e per cominciare ho preso un romanzo relativamente breve perchè se non lo sapete, questo genere è un po’ strano nel senso che di tutti i romanzi che ho letto, veramente pochi sono facili da comprendere, e tanto più molto spesso non propongono un finale. Mi spiego: Non è che non abbiano il finale, ma spesso quando arrivi in fondo ti guardi intorno e dici .. e allora ?!
Se avete letto Infinite Jest, sapete a cosa mi riferisco: milleduecento pagine di mondi immaginari, futuristici e molto affascinanti, ma quando arrivi all’ultima parola, ti guardi intorno e dici … e allora ?! Vale un po’ lo stesso discorso per romanzi come “La Scopa del Sistema” sempre di Wallace, “L’Arcobaleno della Gravità” di Pynchon, oppure “La Stella si Ratner” di De Lillo. Tutto molto bello, molto avanti, e con uno stile di scrittura impeccabile, però alla fine rimani un po’ così … diciamo per usare un francesismo … di merda!
Probabilmente sono io che non ho abbastanza cultura per arrivare a capire a fondo questa narrativa che devo dire mi piace molto nonostante rimanga in molti casi “con il colpo in canna”.
Scusate l’into un po’ lunga ma mi sembrava doveroso contestualizzare il discorso Postmodernismo / Auster.
Questo “La Musica del Caso” mi è piaciuto davvero molto, e grazie a Dio in questo caso abbiamo anche un finale degno di questo nome. Il romanzo è sì breve, ma la narrazione e i personaggi si lasciano leggere davvero con facilità. Lo consiglio a tutti quelli che si volessero avvicinare al genere, così come consiglierei “L’incanto del Lotto 49” di Pynchon, oppure “Il Giovane Holden” di Salinger.
Vi riporto la quarta di copertina:
Un’eredità imprevista determina una svolta nella vita di Jim Nashe, il protagonista della “Musica del caso”. Jim molla il lavoro, lascia sua figlia e, alla guida di una fiammante Saab 900, vagabonda per un anno intero avanti e indietro attraverso l’America. Sempre casualmente incontra Jack Pozzi, un giovanissimo giocatore d’azzardo, reduce da una rocambolesca avventura notturna. Con ciò che resta dell’eredità di Nashe i due decidono di portare avanti il progetto di Pozzi: battere a poker Flower e Stone, due miliardari per caso (hanno vinto una grossa somma con un biglietto della lotteria). Ma le cose non vanno nel modo sperato. Così quello che sembrava essere un classico romanzo on the road, con un eroe che attraversa l’America sconfinata, si trasforma in un altro tipo di avventura: un romanzo sull’azzardo, e sul potere sconfinato del Caso.
Proprio in questi giorni ho scoperto che nel ’93 ne è stata fatta una trasposizione cinematografica, quindi mi concederò anche il film!